Ce ne sono diverse, su livelli diversi. Vorrei considerarne qui una o due, molto significative, senza pretese di esaustività.
Il sommo Peter Drucker, il massimo pensatore di management del secolo scorso, diceva che la crescita di un manager richiede certamente l’apprendimento di competenze nuove. Questo è certo e scontato. Ma richiede in egual misura il disapprendimento (unlearning) di concetti e abitudini disfunzionali o non più funzionali. E questo è meno scontato.
E proprio qui sta una delle differenze tra formazione e coaching. La formazione è progettata per gruppi, il coaching si rivolge a persone singole. Questa è la prima, ben nota differenza, che fa eccezione solo nel caso del team coaching (che però ha una natura particolare e specifica).
La seconda differenza, conseguenza della prima, è che mentre la formazione deve per sua natura dire “si fa così, cerca di imparare a farlo”, il coaching può partire da un livello a monte, che è: “dimmi prima come sei abituato a farlo, così vediamo ciò che ti dà svantaggio e farai in modo di disimpararlo. Così sarà più facile, dopo, fare quella cosa in modo nuovo.” Un percorso forse più lungo, ma più profondo, auto-consapevole e dunque efficace. Un percorso che si può fare nel coaching proprio perché si lavora con persone singole e con più tempo a disposizione.
Stiamo parlando di crescita per sottrazione (togliere abitudini nocive) che è spesso più importante di quella per addizione.
Faccio tre esempi ripresi da altrettanti percorsi di executive coaching. Un’esperta donna manager richiede maggiore competenza nella gestione del tempo: è stressata e soggetta a forti pressioni per impegni e scadenze. La prima cosa che con lei abbiamo scoperto nel percorso è che questa manager diceva sempre di sì; a tutte le richieste, le interruzioni, nuovi incarichi, ecc. Era totalmente disponibile verso tutti. E’ stato un passaggio di realismo e di consapevolezza: solo smettendo di dire sempre di sì è riuscita a mettersi nelle condizioni di identificare e difendere le sue vere priorità e quindi di gestire il suo tempo con efficacia.
Un altro manager, di un grande istituzione pubblica, inizia un coaching per sviluppare l’abilità di motivare i collaboratori. La cosa da fare, riteneva lui, era dare deleghe più sfidanti e compiti prestigiosi. Giusto. Ma nel lavorare col coaching scopriamo che frequentemente gli capita di criticare in pubblico i suoi collaboratori. Che così sono spesso assai demotivati. Disapprendere questa pratica nociva diventa quindi il passaggio chiave per arrivare a motivare i collaboratori con compiti sfidanti.
Infine un giovane dirigente di un gruppo di servizi professionali intraprende un coaching per sviluppare le capacità negoziali win win, in modo particolare con i clienti chiave. Ha un forte interesse per l’apprendimento di strategie negoziali efficaci. Ben presto scopriamo, lavorando insieme, che conduce quasi sempre le sue negoziazioni con elevata emotività. Il risultato è quasi sempre una reazione chiusa o aggressiva della controparte. Conclusione, è stato il lavoro di attenuazione o rimozione degli atteggiamenti emotivi che ha aperto la strada a conduzioni negoziali più efficaci.
In sintesi estrema, con la formazione impari. Con il coaching prima disimpari, poi impari.