Spesso, quando si parla di formazione e coaching, ci si chiede come si possa fare per sviluppare una competenza, un’abilità o un comportamento positivo. A questo, infatti, è rivolto lo sviluppo manageriale a cui si dedicano tante ore e tanti strumenti di empowerment. In questa sede, invece, mi piacerebbe pormi qualche domanda su come si faccia a “non sviluppare” una competenza: mi piacerebbe, cioè, chiedermi quanti e quali atteggiamenti noi mettiamo in moto, spesso in modo inconsapevole, volti a limitare, sedare o ingabbiare comportamenti positivi che invece potrebbero facilmente svilupparsi e crescere.
In questa sede la risposta non può che essere estremamente sintetica e quindi vorrei indicare solo due elementi: l’ascolto superficiale e la scarsa pratica.
Con “ascolto superficiale” mi riferisco a quell’atteggiamento di scarsa consapevolezza che spesso inonda le nostre giornate, per il quale ci concentriamo molto su ciò che dobbiamo fare e molto meno su come desideriamo farlo. Carichiamo di attenzione gli obiettivi, e distogliamo interesse dai percorsi; seguiamo prassi con cui abbiamo dimestichezza e non ci interroghiamo più su modalità alternative; ci chiediamo che cosa vediamo e che cosa sappiamo, senza chiederci che cosa non vediamo e ci sfugge. In questo modo, poco a poco, impostiamo una sorta di “pilota automatico” del nostro agire e del nostro comunicare: impostiamo modalità molto economiche, che spesso ci fanno raggiungere il risultato in tempi brevi, ma contestualmente ci fanno perdere di vista orizzonti più ampi e possibilità più variegate.
A poco a poco perdiamo la capacità di guardare oltre, di farci domande, di vedere con occhi diversi e veniamo quindi superati, o battuti sul tempo, da chi è capace di conservare uno sguardo di stupore sulle cose, da chi non smette di interrogarsi su ciò che “non vede”. In un modo rozzo potremmo dire che invecchiamo precocemente!
L’abitudine prende il posto della curiosità e le nostre modalità di lavoro collaudate diventano lo scudo che difende il nostro orgoglio.
Il secondo atteggiamento, cioè la scarsa pratica, è parzialmente figlio di quanto appena descritto: se smetto di guardare smetto di poter fare, se imbocco la strada dell’abitudine finisco per sviluppare sempre gli stessi muscoli, dimenticando che avrei a disposizione un corpo intero.
La scarsa pratica, però, può essere anche frutto di periodi difficili: tratti di strada – aziendale o personale – in cui circostanze esterne o particolari difficoltà o urgenze esigono fretta, modalità standardizzate e conosciute (perché rapide), prassi limitate e molto focalizzate che bloccano la possibilità di guardare in profondità e di agire con consapevolezza. Questo atteggiamento se, per un breve periodo, può essere sensato e persino giustificato, a lungo andare ottiene effetti negativi: è come se si “disimparasse” ad osservare in un certo modo, ad agire con consapevolezza, a porsi domande forti. Quello che, per un certo periodo di tempo, è reso indispensabile dalle circostante, si trasforma in una cattiva abitudine e in una sorta di pigrizia.
Porre rimedio a un simile atteggiamento è tanto necessario quanto urgente, pena il consolidare un atteggiamento pigro e superficiale, che è indubbiamente una modalità di lavoro molto economica ma a lungo andare assai poco efficace.
Antidoto, allora, all’uno e all’altro di questi atteggiamenti negativi descritti sarà la capacità di mantenersi vigili nella consapevolezza dei propri atteggiamenti, la capacità di salvaguardare dei momenti di silenzio in cui osservarsi agire e chiedersi il perché di certe scelte; in definitiva la capacità di mantenersi liberi e non imbrigliati dalle circostanze.
“Chiunque smetta di imparare è vecchio, che abbia 20 o 80 anni.
Chiunque continua ad imparare resta giovane.
La più grande cosa nella vita è mantenere la propria mente giovane.”
(Henry Ford)