Tessera 16

Metamorfosi di un mestiere: dal formatore al facilitatore

Sappiamo oramai che i rapidi cambiamenti hanno prodotto scenari inediti dove agli uomini e alle donne che lavorano in azienda non viene richiesta la semplice applicazione di conoscenze e competenze, ma la capacità di affrontare con crescente rapidità problemi insoliti, imprevisti “imprevedibili” senza poter ricorrere a quei modelli utilizzati quando il mondo, e non solo quello organizzativo, era più stabile, sicuro e riconoscibile.

Come ci poniamo noi formatori in aula quando i partecipanti, nel giro di presentazione, ci narrano di continui cambiamenti, ristrutturazioni aziendali a volte subiti pesantemente, a volte accettati con rassegnazione e si sentono affaticati e sfiduciati perché: << Voi formatori ci insegnate tante belle cose, ma poi la realtà che viviamo è un’altra>>?

Come trovare l’equilibrio fra un mandato dall’azienda che ci paga per trasferire conoscenze e tecniche e un bisogno diffuso dei partecipanti non di slides, ma di sapersi orientare nelle incessanti trasformazioni e di attribuire senso a ciò che sanno e fanno?

Una cosa possiamo affermare con un buon grado di certezza: le pratiche della formazione devono allinearsi a questi nuovi scenari e affrontare le sfide del cambiamento. Ad onor del vero, negli ultimi anni si sono definite nuove pratiche innovative e d’avanguardia che spaziano dall’ e-learning con la “realtà aumentata”, all’outdoor con metodi sempre più raffinati, alle metafore del Cinema, al Teatro aziendale.

Ma qui non vogliamo parlare di strumenti formativi, ma prenderci uno spazio per riflettere e riconsiderare il nostro ruolo di formatori in un’era in cui anche la formazione rischia di diventare “liquida”, per citare la celeberrima metafora di Bauman, e navigare un po’ a vista.

Se non è più sufficiente il ruolo del formatore competente che trasmette conoscenze e nei casi più fortunati, attiva la curiosità dei partecipanti, di quali ulteriori abilità si deve arricchire?

A nostro avviso la metamorfosi del formatore dovrebbe attuarsi più sul piano del “saper esserci”, e portare in aula un atteggiamento da facilitatore e generatore di percorsi di apprendimento mirati, di confronti cognitivi ed emotivi fra i partecipanti.

Vorremmo elencare alcune pratiche del facilitatore che, a nostro avviso, possono ampliare il bagaglio del formatore

  • Sviluppare una forte autoconsapevolezza dei propri filtri e schemi mentali, per non inquinare il clima dell’aula attribuendo ai partecipanti qualcosa che riguarda invece una parte di sé non elaborata; ad esempio pensare che il gruppo sia ostile o non voglia mettersi in gioco quando è un proprio atteggiamento inconsapevole ad aver attivato una spirale di reciproca diffidenza.
  • Osservare ed “esserci”: allenarsi ad un doppio movimento. Da un lato esserci autenticamente ed empaticamente senza lo schermo del ruolo d’esperto e co-costruire con il gruppo una relazione di fiducia tale da generare apprendimento, dall’altro saper creare quella giusta distanza per osservare le energie in gioco, leggere i bisogni sottesi alle parole e cogliere ed accogliere la comunicazione silenziosa dei segnali non verbali.
  • Facilitare l’apprendimento riflessivo: aiutare i gruppi di lavoro a riflettere sull’azioni che mettono in atto nella loro quotidianità o sull’esperienze didattiche proposte in aula, in una continua danza fra riflessione e azione e riflessione sull’azione stessa al fine di generare una continua ristrutturazione delle proprie conoscenze e competenze. Lo scopo non è immettere un nuovo apprendimento, ma raggiungere un risultato nuovo e di miglioramento attraverso il costante movimento fra azione e riflessione. Le pratiche riflessive hanno oramai assunto un posto di rilievo nella ricerca didattica e nello sviluppo umano organizzativo perché predispongono ad un’attitudine di ricerca, di analisi e di esplorazione; proprio le competenze che servono nella nostra società complessa
  • Essere curioso: il facilitatore è aperto, si lascia sorprendere da ciò che può accadere nel corso del processo di apprendimento attivato in aula, si libera dalla costrizione di avere il pieno controllo delle reazioni dei partecipanti agli stimoli proposti.
  • Credere nella forza creativa del gruppo: affidarsi con un “atto di fede” al potenziale delle persone e del gruppo che, come ben sappiamo, è qualcosa di molto diverso dalla mera sommatoria delle individualità. Il gruppo sa generare idee e soluzioni
  • Ascoltare il proprio intuito: nel processo delle attività fidarsi delle proprie sensazioni, accogliere insieme al gruppo ciò che si manifesta nel qui-e-ora anche se non preventivato. Il facilitatore sa affinare la sua capacità di mettersi in sintonia con il flusso degli eventi.
  • Essere leggeri: stimolare il piacere di fare le cose assieme con un pizzico di umorismo; l’apprendimento passa anche dal piacere.

Con questa lista non certo esaustiva, vengono rovesciate le pigre consuetudini secondo cui è il formatore l’unico esperto e proprietario di modelli, tabelle strumenti e tecniche per la risoluzione dei problemi; la responsabilità del processo di apprendimento è condivisa e si costruisce insieme al gruppo.

La sfida più grande è far salire a bordo le persone e incuriosirle ad intraprendere un viaggio accompagnati dal formatore / facilitatore dove la meta non è l’accumulo di saperi, ma la conquista di una competenza strategica: saper gestire, sviluppare e soprattutto mobilitare le proprie risorse, conoscenze e abilità.

Come vincere questa sfida? Tessendo con pazienza e nel rispetto dei tempi dei partecipanti un ordito composto da fiducia e reciprocità.

“Dimmi e io dimentico;
mostrami e io ricordo;
coinvolgimi e io imparo

(Benjamin Franklin)

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