Prima tutta la terra parlava la stessa lingua, poi gli uomini a Babele vollero costruire una torre che arrivasse sino al cielo. Allora il Signore confuse le loro lingue in modo che non si capissero più. Alcune migliaia di anni dopo la Tecnologia questa volta, e non il Signore, confuse di nuovo le cose inventando un modo con cui tutti parlano con tutti. Contemporaneamente. Tutti sentono le cose che dicono tutti gli altri.
Poi a poco a poco si capì che questa invenzione, chiamata Social Network, più che confondere poteva essere una grandissima occasione di sviluppo, anche economico. E così nacquero il Social Business e la Social Enterprise.
Così oggi dentro le aziende è in corso una trasformazione social, che non è solo “nuova comunicazione” ma molto di più, è un processo di ridefinizione del business. Il 90% delle aziende Fortune 500 utilizza oggi social network interni. Basti pensare alle potenzialità delle tecnologie social per la condivisione delle conoscenze, per il lavoro collaborativo anche su logistiche e culture remote, per l’apprendimento.
Collaborare diventa il verbo chiave del lavoro. Nell’azienda taylorista il verbo chiave era eseguire (execute). Nell’azienda delle più recenti ondate tecnologiche il verbo chiave era comunicare, o condividere. Oggi non basta: la sfida di oggi è la collaborazione, fare insieme.
Le ragioni che rendono non eludibile questa sfida sono davanti ai nostri occhi. L’escalation tecnologica in primis, come detto. Poi l’integrazione dei processi che fa sì che per un normale task si debba unire un pezzo fatto da Ashok a Mumbai, un altro pezzo fatto da Frieda a Dortmund con il pezzo fatto da noi a Roma. Poi lo straordinario potere che i social media danno al cliente. Il cliente può trovare sulla rete una quantità di informazioni impensabile solo qualche anno fa. Questo impone alle aziende, e in modo speciale alle loro reti di vendita, un “gioco di squadra” che costruisca valore cliente, pena la perdita dello stesso.
Ma la domanda è: l’homo aziendalis di oggi è pronto, è capace, ha voglia di collaborare? Cioè di smettere di lavorare per iniziare a co-lavorare? (due cose assai diverse).
Noi osserviamo sul campo che le organizzazioni che hanno successo nel divenire social hanno saputo avviare tre trasformazioni chiave: la trasformazione dell’io, quella dei capi, e quella della cornice strategica.
Il verbo “avviare” va sottolineato, perché queste trasformazioni, lo capiamo tutti, non si concludono in tempi rapidi. Anzi per la verità non si concludono mai. Sono un costante tendere verso.
La prima trasformazione è quella che fa passare il modello mentale operativo da Io a Noi. Mandando in soffitta individualismi eccessivi, silos e compagnia bella. Non è facile, ci vuole un piano, molta coerenza e molta tenacia.
La seconda è la trasformazione del modo di interpretare la responsabilità della guida di altre persone: dai modelli top-down, gerarchici, comando e controllo, a modelli di facilitatori, coach, registi di ambienti umani motivati e collaborativi.
La terza infine è la trasformazione della cornice strategica: prima la visione strategica ce l’avevano solo ai piani alti, oggi tutti devono avere una visione chiara della prospettiva, della missione, dei driver strategici del successo aziendale. Perché non c’è più un capo che ti dice ogni mezz’ora cosa devi fare. Tu lavori a Milano e il tuo capo ha l’ufficio a Toronto. Perché hai molte più informazioni di chiunque altro su ciò di cui ti occupi. Perché collabori con gruppi di pari e chi vi guida non può che essere una comune visione strategica.
Social Enterprise dunque: persone prima che tecnologie. Ce l’avete un piano?
“la difficoltà non sta nel credere alle nuove idee,
ma nel fuggire dalle vecchie”
(John M. Keynes)